LETTERA CONSEGNATA A MANO AD OGNI COMPONENTE DELLA COMMISSIONE PROGRAMMAZIONE DELLA FACOLTÀ DI LETTERE, RIUNITASI IN DATA 11 OTTOBRE 2007


(Nuovo versione inviata il 21.10.07 per email a tutti i consiglieri, compresi gli assenti del 11.10.2007)



Roma, 11.10.2007


Cari colleghi della Commissione Programmazione,


per quanto poco consueto, mi rivolgo direttamente a voi per esprimere il mio sconcerto di fronte alla proposta del nuovo Corso di Laurea in Mediazione Linguistica avanzata dal Collegio Didattico Lingue e Linguistica, di cui dovete ancora perfezionare la pratica.


Ritengo che tale proposta vada rimandata al Collegio Didattico (CD), primo in quanto essa non è mai stata approvata dal CD stesso (per via della mancanza del numero legale nella seduta del Consiglio del 4.10.07), secondo perché essa disattende, a mio avviso platealmente, lo spirito della Riforma che invece dovrebbe implementare.


Infatti, il Ministro Mussi, nel varare la Classe L-12 (Mediazione Linguistica), ha voluto riconoscere le legittime attese degli studenti di lingue e le concrete esigenze della nostra società globalizzata, prospettando un Corso di Laurea in Lingue che dia finalmente al settore disciplinare Lingue il peso che hanno le altre materie (per esempio, la Filosofia) nei loro rispettivi programmi di laurea.


Attualmente, infatti, gli studenti studiano la loro prima lingua – quella in cui Roma Tre attesta l'alta conoscenza con la laurea – per il 16% soltanto dei crediti totali. La nuova classe L-12 voluta dal Ministro, invece, cerca di correggere tale squilibrio, consentendo alle Facoltà di raddoppiare il numero di crediti di Lingue.


Purtroppo, il CD al quale appartengo propone di aumentare il totale per le lingue del... 3% soltanto per quanto riguarda il curriculum che vanta il maggior numero di iscritti (curriculum denominato “Lingue europee”). Nell'altro curriculum, verrebbero aumentati i crediti per le lingue del 30%. Questo aumento è senz'altro significativo; tuttavia ne trae beneficio solo una minoranza degli studenti, ossia coloro che accettano di specializzarsi in una delle tre lingue extraeuropee insegnate a Roma Tre.


Per giustificare questa sperequazione, il CD asserisce che gli studenti delle lingue extraeuropee cominciano necessariamente da zero; perciò essi hanno bisogno di un numero considerevoli di crediti. Ma questo ragionamento, pur corretto, non giustifica la disparità di trattamento. Infatti ci sono studenti che partono da zero anche nelle lingue europee. Perché privarli della possibilità di studiare per più crediti, e quindi per più ore, la lingua in cui si specializzano?


Del resto è evidente la necessità di aumentare crediti ed ore di lezioni anche per le lingue studiate comunemente a scuola (come il francese, l'inglese e sempre di più il tedesco), come dimostrano da anni le “valutazioni comparative” europee dei laureati in lingue. Infatti, è proprio per migliorare la posizione dell'Italia in questa graduatoria che il Ministro ha varato la Classe L-12.


La sperequazione non è giustificabile nemmeno invocando la più volte ribadita penuria di docenti di lingue. Infatti, pochi sono i docenti sia delle lingue extra-europee che delle lingue europee. Perciò se si può chiedere ai primi di aumentare momentaneamente l'impegno didattico per far fronte ai crediti in più, in ossequio alle indicazioni ministeriali al riguardo, lo si può chiedere anche ai secondi. I sacrifici potranno comunque essere minimizzati se vengono attuate le appropriate strategie di copertura didattica (ad esempio, il temporaneo ricorso ai “moduli di studio guidato”).


In conclusione, i motivi dichiarati dai miei colleghi del CD non sembrano spiegare la sperequazione in questione. E' perciò lecito pensare che esiste un motivo non dichiarato.


Quel motivo, a mio avviso, risiede nell'antico vizio universitario di programmare gli studi in funzione degli interessi particolari dei docenti, o almeno di certe categorie di docenti, e non in funzione dei bisogni formativi e culturali più sentiti dagli studenti e dalla società.


Il mio Collegio Didattico propone, infatti, un primo curriculum che riproduce a grandi linee lo status quo: cioè, predominano non le lingue ma le discipline complementari volute dalle varie componenti del Collegio. Il CD propone anche un secondo curriculum che dà priorità alle lingue, dimostrando di aver recepito la volontà ministeriale; ma poi, facendo la distinzione tra “lingue europee” e “extraeuropee”, limita l'accesso ai soli studenti interessati alle lingue extraeuropee. Così, impone de facto il primo curriculum alla grande maggioranza degli studenti che studiano le lingue europee.

In altre parole, con questa strategia il mio CD può asserire di aver implementato la riforma (in parte) e, nel contempo, può garantirsi un notevole flusso di studenti verso gli insegnamenti che vuole tutelare.


Da 40 anni assisto, sconcertato, al forte abbandono degli studenti a Lingue nel corso di laurea in lingue, insoddisfatti del numero insufficiente dei corsi di lingue offerto loro. E sento, come docente, di non poter prepararli adeguatamente: li vedo obbligati a seguire materie per le quali non si erano iscritti e ad imparare, in molti casi, soltanto a recitare ipocritamente agli esami quello che serve per laurearsi. Questa non è educazione; è diseducazione. La nuova Riforma doveva finalmente offrire un'opportunità di cambiamento. Ma la proposta davanti a voi mette una pietra tombale su qualsiasi autentico rinnovo per altri dieci anni.


Come vedete, colleghi, non si tratta di una semplice disquisizione sui curricula o sul tipo di sapere che la società odierna chiede a l'università di produrre. Si tratta di una questione politico-etica. Fermo restando la libertà d'insegnamento, ha forse l'università la libertà di programmare i suoi indirizzi curricolari unicamente in base alle proprie concezioni delle priorità formative e culturali da assegnare?


Io ritengo che l'università non abbia questa libertà e che prenderla sia un abuso. Decidere gli indirizzi dei corsi di laurea vuol dire decidere anche del futuro dei giovani e del paese. Pertanto tale decisione va presa recependo le istanze sociali e, nelle forme ancora da perfezionare, collegialmente.


Riconosco gli sforzi del mio CD per garantire una certa collegialità mediante la creazione di una Commissione Paritetica aperta ai rappresentanti degli studenti; tuttavia la Commissione non ha poteri decisionali, che spettano unicamente al CD dove gli studenti hanno soltanto un decimo dei voti.


Riconosco anche gli sforzi della Facoltà per garantire collegialità con la convocazione di una Conferenza Aperta per discutere le proposte di nuove lauree, a cui potranno partecipare i rappresentanti del territorio – ma, anche in questo caso, senza poteri decisionali e solo alla conclusione dell'elaborazione delle proposte.


Abbiamo dunque pur sempre una programmazione degli indirizzi di studio da parte di una università che, in fin dei conti, risponde solo a se stessa – il che può portare, come in qualsiasi situazione simile, ad abusi di potere. Considero il caso della proposta di Corso di Laurea in Mediazione Linguistica un esempio di tale abuso.


Sono pronto a pagare di persona per questa mia convinzione e testimonianza. Se viene approvata dalla Facoltà l'attuale proposta del mio Collegio Didattico, non potrò non trarre le ovvie conclusioni e porre fine al mio rapporto.


                                                                                                            Con ossequio,


                                                                                                            Patrick Boylan

                                                                                                            Dipartimento di Linguistica

                                                                                                            boylan@uniroma3.it