From:     Patrick  Boylan < s s i s  @ b o y l a n . i t >

To:        <arduinafiorucci@hotmail.com>

Date: Tue, 8 May 2001 00:33:25 +0200

Subject: Riunione 11.05 per la Programmazione nuovo ciclo

 

 

 

You wrote:   (Mon, 07 May 2001 13:46)

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>Viene indetta una riunione per la Programmazione del

>Nuovo Ciclo, 11 maggio 2001 ore 15.30 presso LUMSA

 

 

Purtroppo sono impegnato quel giorno presso l'Università di Perugia.

 

Mi informerò presso i colleghi sulle decisioni prese.

 

In quanto ad un mio contributo alla discussione, indico alcuni punti di seguito che Le sarei grato di leggere ai colleghi riuniti.

 

Cordialmente,

 

Patrick Boylan

 

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Faccio mio le istanze dei corsisti espresse nel sondaggio svolto lo l scorso dicembre, in particolare per quanto riguarda tre temi:

 

1. La frammentazione degli insegnamenti: ritengo che nuoce gravemente al programma.

 

   Il programma è concepito, infatti, secondo il sistema modulare l d'insegnamento (che prevede tanti insegnamenti brevi, svolti da esperti diversi, anziché pochi insegnamenti svolti da un gruppo ristretto di esperti per un numero considerevole di ore per ciascuna disciplina.)

 

   Il sistema modulare funziona bene, però, solo se tutti gli esperti di una determinata area contribuiscono, ognuno con un accento diverso, ad un discorso che rimane unitario. 

 

   Secondo i corsisti, quell'unità è venuta a mancare.

 

  Il risultato?  La brevità dei moduli non ha fatto altro che impedire ad ognuno di noi docenti di sviluppare appieno il proprio contributo formativo.  Inoltre, ha impedito ai corsisti di ricavare una visione d'insieme del processo formativo complessivo a cui partecipano.

 

   Capisco i vantaggi dell'adozione dell'insegnamento modulare in un mondo universitario piuttosto tradizionale, come quello che si riscontra facilmente nelle facoltà "umanistiche".  Lì i docenti tengono corsi per

tutto l'anno e, disponendo di un monte ore d'insegnamento assai grande, possono permettersi di prendersela con comodo (assenteismo, mancanza di preparazione delle lezioni, ecc. ecc.).  La modularità, invece, obbliga i docenti a focalizzare i propri discorsi.  Quindi sarebbe un bene.

 

    Ma se, come dicevo, manca il coordinamento, i discorsi dei vari docenti vengono focalizzati sugli aspetti i più disparati di una stessa disciplina, senza che ci siano raccordi opportuni.  Di conseguenza, i corsisti non si trovano mai di fronte ad un pensiero pienamente articolato nei confronti del quale prendere posizione.

 

    Perciò, se vogliamo conservare l'impostazione modulare, abbiamo bisogno -- noi docenti del corso -- di imparare a lavorare in équipe.  La Direzione potrebbe, ad esempio, finanziare delle ore per consentire incontri per discutere le finalità formative da proporre, nonché altre ore per consentirci di concordare il programma di massima, ecc.

 

    C'è naturalmente -- e non lo nascondo -- il rischio che, anche se la Direzione ne offrisse l'occasione, molti docenti non vorrebbero imparare a lavorare in équipe.  La tradizione universitaria -- almeno nel settore

"umanistico" (meno in quello tecnico-scientifico) -- tende verso

l'individualismo assoluto.  Ma si può combattere questa tendenza.  Per farlo, la SSIS deve porsi l'annoso compito di dover formare i formatori.

 

 

2. - Nuoce al programma anche la minor pertinenza di diverse discipline -- anzi, con poche eccezioni, di una parte di ogni insegnamento dato. 

 

     Certo, qualsiasi sapere è bello, ma non tutti i saperi contribuiscono in uguale misura alla realizzazione delle finalità del corso.

 

   Se permettete, quindi, vorrei esprimere il mio dissenso verso la visione enciclopedica del sapere alla base del programma.  Ritengo più idoneo, ad esempio, un programma basato sulle case studies.

 

   Ritengo, infatti, che la formazione di futuri insegnanti critici e creativi richieda un processo che non sia meramente sommativo e che non cerchi di abbracciare tutto il scibile in un determinato campo.   Con un insegnamento di questo tipo, infatti, vengono formati, nella migliore delle ipotesi, insegnanti che sanno solo osservare le norme: norme di legislazione scolastica, norme per la conduzione di lavori di gruppo, norme per la valutazione in itinere, norme per la formulazione di un curriculum conforme ai dettami ministeriali, e via discorrendo.  Cioè, vengono formati dei burocrati.

 

    Invece, per formare futuri insegnanti che siano critici e creativi, il programma dovrebbe, a mio parere, essere ristudiato per privilegiare, lungo tutto l'anno, pochi fili conduttori.  Questi fili andrebbero scoperti e riscoperti dai corsisti attraverso l'analisi di case studies e attraverso la conduzione di progetti autogestiti.

 

    Intorno a questi fili, poi, le varie norme da apprendere troveranno una loro collocazione naturale.  Verranno acquisite o durante le case studies e la conduzione di progetti, oppure attraverso letture

supplementari (vedi più avanti), oppure verranno acquisite dopo il corso, durante la futura attività lavorativa degli insegnanti.  Un docente critico e creativo, infatti, tende a cercare e ad assimilare le norme che gli servono e che non ha imparato nel suo corso di formazione.  Mentre il docente burocrate scorda la metà delle norme che ha "imparato" al corso – e non ha nemmeno la voglia di ri-impararle, salvo se esse sono obbligatorie per adempiere alle sue funzioni.

 

     Conviene, quindi, insegnare meno perché i corsisti imparino di più.

 

3. - il numero eccessivo di ore.  Qualsiasi corso che mira allo sviluppo di una mente critica deve lasciare ampi spazi per letture supplementari, per discussioni non finalizzate ai compiti specifici, per la ricerca

disinteressata di informazioni e di controinformazioni.  Questo spazio c'è l'ha il tipico studente universitario -- ed è quello che, forse più di ogni altra cosa, contribuisce a farlo maturare, consentendogli di uscire dalle gabbie (orarie e mentali) che ha conosciuto al liceo e di imparare a gestire la propria formazione. 

 

    Far tornare i corsisti al sistema liceale è, a mio parere, molto negativo.  Non è sicuramente voluto dalla Direzione: m'immagino, infatti, che esistano vincoli europei per quanto riguarda il numero di ore di presenza richieste per la validità di un corso di formazione.  Ma non lasciare praticamente nessuno spazio per il libero sviluppo di uno spirito critico è, credo, estremamente negativo.  Il corso diventa un mero addestramento. 

 

   Insegnanti "addestrati" -- non credo che sia questo ciò che vogliamo.

 

    L'adozione di pochi fili, lo studio di poche case studies e la conduzione di un numero esiguo e mirato di progetti rappresentano, penso, valide alternative.

 

   Con l'occasione invio i miei migliori saluti.

 

 

                                   Patrick Boylan

 

08/05/2001  00:19:11

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