n° 105 - maggio   2003     

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Un programma di emergenza
Il confronto nei movimenti. Modi e forme di una nuova stagione

Marina Minicuci

Sulla porta dello studio di un fisico teorico dell'Università di Princeton campeggia questa scritta: "Non affrontare mai un problema senza conoscerne la soluzione". Sembra un paradosso ma, a ben vedere, sta a significare che i problemi, per lo più, nascono e si sviluppano nelle nostre teste. La citazione mi sovviene poiché da qualche tempo comincio a sospettare che non solo il centrosinistra ma anche i movimenti nati dopo la calata dei barbari al governo si affannino nel tentativo di risolvere al loro interno problemi di cui, forse, sono essi stessi parte. Che si dibattano, insomma, in qualche paradosso.
Il primo, e a me più evidente, è la costante ambizione o pretesa di unità su diversità inconciliabili che invece di unire spaccano e marcano sempre di più le nostre sacrosante e rispettabili differenze. Il problema non è di perseguire (o fingere) un'unità impossibile, ma semmai di riuscire a convivere senza prevaricazioni.
Credo che i movimenti debbano uscire quanto prima dal paradosso, che ricalca in pieno quello dell'opposizione, che vorrebbe un così variegato arcipelago di diversità, qualche volta enormi, unite su tutti i fronti (articolo 18, "no" a tutte le guerre, riformismo o massimalismo...) e invece lavorare nella speranza che ciascuno di noi possa tornare al più presto a frequentare le compagnie che più gradisce e gli si addicono.
Comincio anche a trovare vuoti i discorsi che pure mi parevano assennati fino a qualche mese fa. Come, per esempio, le teorie di scomposizione o ricomposizione delle nostre differenze, come da interminabili e autorevoli dibattiti che con frequenza ascoltiamo e leggiamo. Oppure l'imperativo "bisogna fare le riforme". Ma quali riforme? E' come mettersi a rigovernare mentre la casa sta bruciando. Prima di ricominciare a parlare di politica in questo paese passeranno anni. Non è, a mio avviso, tempo di riforme, né di accordi (o disaccordi) definitivi, né di incoronazioni intempestive o subitanee cacciate dal trono.
E' tempo di varare un programma di emergenza che unisca tutti pro tempore per far fronte alla gravissima situazione italiana. L'unità intesa come imperativo morale e responsabilità imprescindibile di tutti noi sul fronte dell'opposizione al governo. Tutti dentro, tutti insieme, da Bertinotti a Rutelli passando per Cofferati, se non appassionatamente, obbligatoriamente. Chi non è d'accordo si prenda il tempo necessario per riflettere; gli altri procedano verso una federazione di partiti che abbia come collante l'ostruzionismo a questo governo e che assuma senza tentennamenti e ambiguità la responsabilità politica che l'enorme gravità del momento impone. L'Italia non può attendere oltre. E solo una mobilitazione grande, consapevole e unitaria può arginare il pericolo. Se tutti abbiamo chiaro che oggi stiamo peggio di due anni fa, dobbiamo altresì amaramente considerare che oggi potremmo stare meglio che nel prossimo futuro. Se al potere mediatico, economico, politico, Berlusconi riuscirà ad annettere anche quello giudiziario per il nostro sventurato paese sarà regime "senza se e senza ma".
Altra questione che rischia di generare un paradosso sono le mobilitazioni. La piazza ha prodotto senz'altro un simbolico "comitato di resistenza dei cittadini" che ha dimostrato, una volta di più, che questo paese è dotato di forti anticorpi e di straordinaria vitalità e non sembra avventuroso affermare che le nostre mobilitazioni abbiano tolto più di una notte di sonno al Cavaliere e ai suoi sodali e reso manifeste le intenzioni della maggioranza. Ma la piazza non ha prodotto un ammorbidimento di tali posizioni, come era logico ritenere anche sperando che alcuni membri del governo, se non altro per lungimiranza politica, ponessero dei limiti invalicabili alla maggioranza. C'è stato invece da parte del governo sempre di più la ritorsione, il braccio di ferro. E' lecito supporre che a furia di "sempre di più" su entrambi i fronti si possa arrivare a generare una strisciante guerra civile di cui si riconoscono già le avvisaglie? Non ci vuole grande fantasia per immaginarne le conseguenze. Basta ripensare a Genova 2001 e capire come lo stesso schema, o altri analoghi, siano riproducibili nel tentativo di tapparci la bocca. Abbiamo visto in queste settimane gli ispettori mandati al Tg3, la denuncia a un inerme cittadino che ha osato alzare la voce contro il presidente del consiglio.
D'altra parte è anche chiaro che non si può deflettere dalla lotta e tanto meno abbandonarla, non è certo questo che penso, ma voglio dire che è bene stare attenti a non compiere azioni che possano annullare lo scopo che si prefiggono. Avanzo l'ipotesi che la nostra lotta di resistenza possa in futuro essere indirizzata ad altri modi e forme. Che forse si possa o debba uscire dallo schema del come prima e/o più di prima. Che forse ci si possa collocare in un quadro diverso, o fuori del quadro. Come possiamo concorrere a produrre il cambiamento e non rimanere intrappolati in una dinamica di cui forse si può già intravedere la desolante fine?
Non ho risposte ma solo domande. Vorrei aprire un dibattito perché in questo momento c'è bisogno di tutti, prima che sia tardi. Posso soltanto aggiungere che anche la piazza sembra risentire di una certa fiacca. E' normale essere scoraggiati. Forse dovremmo rivolgerci all'Europa e alla stampa internazionale. Forse dovremmo organizzare una mega-manifestazione fuori porta, a Bruxelles, per esempio. Forse dovremmo fare un appello, magari privato, ai presidenti delle Camere affinché non consentano al governo di valicare ulteriormente i limiti che già sono stati infranti oltre ogni decenza. Forse.

 
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