Marina Minicuci
Da circa un anno Repubblica, pur se in modo schizofrenico, mostra una crescente ostilità nei confronti dei cosiddetti "girotondi". Ne parliamo solo adesso perché riteniamo non possa più considerarsi una questione episodica e non dobbiamo abituarci a considerare normali cose che non lo sono affatto solo perché accadono spesso. Certe cose sono tanto più gravi, quanto più frequenti. Per il convegno di Cagliari (31 maggio-1 giugno), che ha visto la partecipazione di un centinaio di associazioni e movimenti, Repubblica ha pubblicato un pezzo da macelleria che titolava sulla "divisione dei movimenti". La ricetta per dimostrare la spaccatura è semplice. In primo luogo si parte dal presupposto che il lettore non sia interessato a leggere cose soporifere come un convegno serio e che leggerà l'articolo solo se conterrà uno scoop o, in alternativa, qualcosa di molto piccante (come ammesso dal giornalista incaricato del pezzo). Lo scoop si ottiene facendo parlare chi non ne sa nulla, ottenendo qualche parere di indiscutibile competenza sull'organizzazione da chi non ha organizzato, spacciando per informazioni le opinioni, buttando via ogni notizia conflittuale alla tesi preconcetta che si vuole esporre. I movimenti divisi è una notizia ghiotta che, priva di ogni verifica e serio approfondimento, nei giorni a seguire, rimbalza di redazione in redazione. Così, ora, la nouvelle vague girotondina ci vorrebbe divisi in tre tronconi, che fa pendant con le tre gambe dell'Ulivo e delinea una sorta di menage a trois che coinvolge tutta l'opposizione. E a forza di scriverlo si sparge la voce e persino noi, avviluppati in un girotondo mentale, finiamo per crederci. Ai "Cittadini per l'Ulivo", riuniti a Monte San Savino il 13-14 giugno per la quinta assemblea organizzata in otto mesi per cercare di spronare i leaders dell'opposizione a un dialogo con la società civile, è andata meglio: sono stati ignorati dall'inviato di Repubblica che ha preso come pretesto l'Assemblea per scrivere della candidatura di Sergio Cofferati a Bologna. Abbiamo visto, nel primo caso, una stroncatura a priori. Infatti l'articolo su Cagliari è uscito prima del convegno, dopo c'è stato il silenzio di Repubblica, nonostante, a seguito delle nostre proteste, ci avessero promesso un articolo "riparatore" del danno subito che ci è costato, fra l'altro, qualche defezione. Perché non è stato scritto? Nel secondo caso, abbiamo subito una censura mascherata. L'inviato va all'Assemblea dei "Cittadini per l'Ulivo" e poi tratta altri argomenti. Ignoriamo se c'è un disegno di Repubblica ai nostri danni, che sono danni a tutta l'opposizione, o se abbiamo semplicemente a che fare con giornalisti della domenica, ma diciamo con fermezza che il rispetto dei fatti non è facoltativo e questi vanno separati dalle opinioni alle quali deve invariabilmente corrispondere un nome e cognome. Il New York Times insegni: il direttore si è dovuto dimettere per aver pubblicato articoli di un redattore che contenevano notizie non verificate, false o scopiazzate.
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