Marina Minicuci
Sono scesa dall'aereo, a Madrid, alle 9.10 dell'11 marzo, giornata dei terribili attentati. Un'ora dopo il ministro dell'interno dichiarava alla televisione che i soliti "radicali", speculando sulle vittime, stavano spargendo la voce che non si trattasse dell'Eta che invece era la responsabile dell'attentato. Il primo ministro Aznar, qualche ora più tardi, diceva che "tanta gente era stata massacrata per il mero fatto d'essere spagnola". Intanto, una funzionaria del governo, chiamava tutti i corrispondenti stranieri per dire loro che l'Eta era la responsabile degli attentati. Tutto ciò dopo che, alle 9.45, era già stato trovato il furgoncino con i versetti del "Corano" e l'esplosivo. Bastava mentire per soli tre giorni ancora e il Partito popolare (Pp) avrebbe vinto le elezioni come largamente previsto. Il giorno dopo, 12 marzo, il filosofo Fernando Savater scriveva su El País "Suppongo che adesso non ci resti altro rimedio che accettare le incursioni dell'Eta nella campagna elettorale... Si dice che chi ha messo le bombe non è basco... Ho visto e sentito le teste pensanti (e soprattutto parlanti) del nostro paese. Ci hanno raccontato cento volte che la violenza terrorista è molto brutta, ma la politica antiterrorista del governo non è precisamente buona: al contrario aumenta lo scontro territoriale in Spagna... Non ascoltiamo i nostri intellettuali e artisti per i quali ciò che è veramente intollerabile è la politica del Pp...". Gli intellettuali e gli artisti cui Savater si riferisce sono un gruppo di miei amici, che hanno deciso di non partecipare alla manifestazione indetta dal governo con Berlusconi e Aznar in prima fila. Ma per rispetto alle vittime e ai loro cari non hanno alimentato polemiche né rilasciato dichiarazioni che avrebbero potuto essere strumentalizzate. Hanno osservato due giorni di silenzio. Madrid era in silenzio. Sembrava di vedere un film senza audio. Sabato 13 marzo abbiamo ritrovato le parole: il giorno dopo si votava. Gli intellettuali e artisti invisi a Savater, con il solo ausilio degli Sms e di Internet, sono riusciti a innescare il passaparola per un'autoconvocazione di massa che ha visto scendere in piazza nell'arco di 12 ore 11 milioni di persone, con lo slogan profetico: "Domani votiamo, domani vi cacciamo". Uno di loro ha scritto questo articolo
Votazione spontanea Carlo Frabetti Dopo la sua sconfitta elettorale, il candidato del Pp spagnolo, Rajoy, ha dichiarato in una intervista di sapere chi ha convocato la manifestazione del 13 marzo ma di non volerlo dire. Per una volta, ha detto la verità. Il governo sa perfettamente chi ha lanciato l'idea della contromanifestazione che gli ha dato il colpo di grazia, e ha buoni motivi per non dirlo. Perché la metamanifestazione alla vigilia delle elezioni è stato uno straordinario esempio - e, per il potere, un allarmante precedente - di mobilitazione "autoconvocata". Chi inventa le barzellette? Qualcuna ha un autore, ma molte sono frutto di un processo di decantazione simile alla selezione naturale. Qualcuno fa un commento arguto, racconta un aneddoto divertente o ha un lapsus comico. Cominciano a circolare diverse versioni (mutazioni) del commento, dell'aneddoto o del lapsus, e una di queste versioni, particolarmente indovinata, sintetica, opportuna, si consolida e si propaga di bocca in bocca (si riproduce) fino a guadagnare un posto nel complesso ecosistema della cultura orale. L'aspetto interessante del processo (e la chiave della sua dirompenza) è che ogni persona che ascolta una barzelletta decide se merita o no d'essere diffusa. Se la barzelletta è "bella" (vale a dire, se risponde con efficacia la sua minima funzione sovversiva in seno a una determinata comunità) si diffonde con straordinaria rapidità, e ogni volta che qualcuno la racconta sta eleggendo fra molte candidate ad essere raccontate, sta "votando" per lei. Con i messaggi che circolano in internet e attraverso i cellulari succede qualcosa di simile. Ci arrivano continuamente proposte, petizioni, convocazioni di ogni natura. La maggior parte di esse non hanno alcun esito. Alcune ottengono una moderata attenzione. Poche riescono a mettere in moto l'incontenibile meccanismo della progressione geometrica e ottengono una risposta massiccia: ciò è accaduto il 13 marzo 2004. Alle cinque e mezza del pomeriggio a Madrid, davanti alla sede del Pp, vi erano circa cinquanta persone. Dopo alcuni minuti di frenetica attività dei cellulari, l'autoconvocazione si era diffusa per tutta la città, per tutto il paese. Avrebbe potuto non andare così. La concentrazione davanti alla sede del Pp avrebbe potuto rimanere tale e quale, o al massimo arrivare a qualche centinaio di persone. Se il numero iniziale si è centuplicato in un'ora, e poi è cresciuto durante tutto il giorno e quasi tutta la notte, in tutto il paese, è stato perché la gente aveva già deciso di manifestare la propria indignazione. Non tutti possiedono un computer, ma ormai tutti abbiamo un cellulare. L'azione combinata, sinergica, di internet e dei cellulari permette di improvvisare, in qualunque momento e da qualunque posto, un referendum inappellabile basato su una votazione spontanea. Tuttavia la mobilitazione del 13 marzo è stata anche - e soprattutto - la culminazione di un processo, e non si sarebbe realizzata senza la multitudinaria manifestazione contro la guerra, senza le altre mille proteste improvvisate in questi anni. La manifestazione con un orario e un percorso, convocata ufficialmente, con previe parole d'ordine, negoziata col potere è un modello superato. Non abbiamo bisogno del permesso di nessuno per scendere in piazza. La comunicazione reticolare istantanea permette di esprimere la volontà del popolo in modo immediato e incorrompibile. Un governo è caduto, e un altro trema, davanti alla potenza incontenibile di questa rivoluzione senza precedenti. E siamo solo all'inizio. (Carlo Frabetti è matematico, scrittore, membro dell'Accademia di Scienze di New York e coordinatore per la Spagna della Rete dei Movimenti) info@retedeimovimenti.
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