"Traditori!"
gridano solitamente le sinistre, furibonde, contro i loro
leader finalmente arrivati al potere, oggi in Spagna e in
Brasile, da tempo in Gran Bretagna e in Germania, qualche
anno fa nella Sud Africa di Mandela e nell'Italia
dell'Ulivo al governo.
Che ingenuità! Certo
che hanno tradito.
Altrimenti non sarebbero potuti andare al potere (e,
prima, non sarebbero diventati "di casa" a Porta a
porta o l'equivalente).
I ceti dominanti non sono mica scemi. Per smorzare le
proteste e garantirsi contro qualsiasi esito elettorale,
possono pure puntare su qualcuna delle sinistre come
normalmente sponsorizzano le destre, ma sempre ceti
dominanti sono e intendono restare.
Perciò esigono un tornaconto. Perché andare in
incandescenza per l'inevitabile?
Non ci può essere democrazia politica senza
democrazia economica,
diceva Marx: niente cielo senza terra. E
siamo ben lontani dall'aver creato quest'ultima.
Anzi, le diseguaglianze economiche dovute al furto del
plus valore stanno tornando a livelli ottocenteschi. Per
citare un solo dato ISTAT, sotto l'attuale governo
l'Italia ha conosciuto un balzo in avanti nel numero dei
miliardari pro capita di ben 13 punti percentuali. ("Meno
male - direbbe Cipputi - almeno quello!").
Ma cosa vogliono dire
questi discorsi? Che, vista la disparità dei mezzi,
bisogna forse rinunciare alla lotta? Rassegnarsi davanti
ai tradimenti di chi, nei comizi, sventola il fazzoletto
rosso e poi dopo, a cena con i suoi sponsor, se ne serve
per pulirsi la bocca? Non votare più né far votare?
Adagiarsi in un qualunquismo brontolone di sinistra, ciò
che sta avvenendo in questi giorni in Brasile e in parte
anche in Spagna contro Zapatero (che ha ritirato le truppe
dall’Iraq per mandarle ora in Afghanistan)?
Per niente.
Anzi, il contrario.
Esiste infatti una rabbia ben dosata e mirata che andrebbe
sì coltivata per combattere la rassegnazione! Che, non
indebolendo la sinistra, non facilita il ritorno della
destra, come invece è avvenuto in Italia e negli Stati
Uniti quattro anni fa. Si esprime, ad esempio, mettendo
chi tradisce in difficoltà nel suo stesso partito.
Disertando i suoi comizi e, nel contempo, sostenendo le
iniziative dei suoi rivali di sinistra, in particolare
quelli di partito. Bersagliandolo di frecce ironiche --
ma, per ogni freccia, dando nel contempo un affondo alla
destra. Facendo scoppiare pubblicamente le sue
contraddizioni in modo da portarlo, almeno ogni tanto, a
cercare di salvare la faccia. E, soprattutto, scegliendo
bene i bersagli, evitando di fare di ogni erba una fascia,
distinguendo tra tradimenti tattici (inevitabili) e quelli
strategici, vere pugnalate da contrastare con ogni mezzo.
Cioè, distinguendo tra un Lula italiano che accontenta la
finanza internazionale per avere una base economica da
utilizzare per fini sociali e un Blair italiano che svuota
il sindacato e taglia i sussidi di disoccupazione, minando
la capacità di reazione dei lavoratori e quindi di tutta
la sinistra.
Come si fa a passare
dalla rabbia furibonda e controproducente alla rabbia
mirata e costruttiva? Togliendosi dalla testa che col
voto possiamo sfrattare i ceti dominanti. Che siamo già
in democrazia. Che basti votare liste - volute da altri -
ogni cinque anni per cambiare le cose.
Perché dietro la rabbia furibonda contro i tradimenti dei
neo-eletti di sinistra, c'è spesso la delusione di un
sogno infantile infranto, quello di poter cambiare il
mondo con un semplice gesto, con una croce segnata su una
scheda elettorale.
La
caduta del muro di Berlino ha fatto almeno chiarezza su
questo punto. Per decenni si era detto che a causa della
guerra fredda e dell'importanza del suo partito comunista,
l’Italia poteva godere soltanto di una "sovranità
limitata". Potevano vincere le elezioni solo le varianti
del pentapartito, mai il PCI sgradito dagli USA. Ora la
guerra fredda non c’è più, i partiti comunisti sono
l’ombra di quello che erano, eppure la "sovranità
limitata" perdura. Ancora oggi al governo non può andare
un uomo o un partito autenticamente di sinistra, non
perché instaurerebbe una dittatura o consentirebbe
l’invasione dei russi (queste scuse non tengono più), ma
semplicemente perché -- oggi come allora -- i ceti
dominanti non intendono cedere i loro privilegi
economici. Può andare al governo semmai solo la sinistra
da loro ammaestrata. E hanno i mezzi per finanziarla,
darle accesso ai mezzi di comunicazione di massa, farla
diventare elettoralmente "la" sinistra.
Certo, la storia va
avanti, anche senza il benestare dei ceti dominanti. Può
anche vincere le elezioni un outsider di sinistra,
rosso DOC e non annacquato, aprendoci così uno squarcio di
cielo. Ma per quanto tempo? I ceti dominanti non
stanno mica con le mani in mano.
Cercano di eliminarlo fisicamente (Allende, Kennedy),
sponsorizzano insurrezioni (Aristide, Ortega) oppure, se
non basta, gettano la maschera e fanno vedere quanto ci
tengono realmente alla democrazia promuovendo una
dittatura che elimini fisicamente l'intera sinistra
(in Indonesia, in Grecia, in Spagna, in Germania,
nell'Italia di Mussolini e poi di nuovo mezzo secolo dopo,
almeno come minaccia). Ovviamente non sempre ci riescono,
come testimoniano Chavez oggi, Castro da sempre e, nel bel
paese, quel confinato che di recente, con grande tenacia,
si è imposto elettoralmente a Bologna malgrado le congiure
trasversali (tiè!). Ma dal momento che i contendenti
veramente di sinistra non hanno un'uguale accesso ai mezzi
economici, le loro vittorie elettorali sono e saranno
davvero striminzite.
Se, data l'eterna
"sovranità limitata" del paese, non dobbiamo stare a
sognare un candidato elettorale deus ex machina che
ci risolva tutto, cosa possiamo fare di concreto, come
società civile, per contribuire a sfrattare i ceti
dominanti? Per rendere utile il nostro voto a sinistra e
non insensato un nostro impegno per far votare a sinistra?
Secondo Gramsci ci
vuole quel lavoro lungo, duro, minuzioso - con e
spesso malgrado i nostri eletti - che egli ha
teorizzato come guerra di posizione, in opposizione
alla guerra di movimento giudicata
controproducente.
In questa
prospettiva, dunque, il nostro contributo potrebbe essere
quello di riunirci in associazioni e movimenti piccoli e
multiformi, dove il controllo dal basso è più facile e il
rischio di infiltrazioni e manipolazioni meno forte.
Gruppi che lavorano dal di fuori dei partiti ma al loro
fianco, che li pungolano continuamente affinché si
ricordino delle promesse fatte, che garantiscano loro un
maggiore consenso, poi che usino quella leva per spingerli
oltre i limiti posti dai loro santi in paradiso -- di più,
che li facciano cercare nuovi referenti per creare
un nuovo blocco sociale. In breve, gruppi che
fanno via via guadagnare posizioni, gramscianamente, nella
costruzione di una democrazia economica reale.
(*)
rete_dei_movimenti@boylan.it |