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IN MOVIMENTO -  6 settembre 2004
Rabbia di sinistra
di Patrick Boylan (*)

 

"Traditori!" gridano solitamente le sinistre, furibonde, contro i loro leader finalmente arrivati al potere, oggi in Spagna e in Brasile, da tempo in Gran Bretagna e in Germania, qualche anno fa nella Sud Africa di Mandela e nell'Italia dell'Ulivo al governo.

Che ingenuità!  Certo che hanno tradito. 
Altrimenti non sarebbero potuti andare al potere (e, prima, non sarebbero diventati "di casa" a Porta a porta o l'equivalente). 
I ceti dominanti non sono mica scemi.  Per smorzare le proteste e garantirsi contro qualsiasi esito elettorale, possono pure puntare su qualcuna delle sinistre come normalmente sponsorizzano le destre, ma sempre ceti dominanti sono e intendono restare.
Perciò esigono un tornaconto.  Perché andare in incandescenza per l'inevitabile? 

Non ci può essere democrazia politica senza democrazia economica, diceva Marx: niente cielo senza terra.  E siamo ben lontani dall'aver creato quest'ultima. 
Anzi, le diseguaglianze economiche dovute al furto del plus valore stanno tornando a livelli ottocenteschi.  Per citare un solo dato ISTAT, sotto l'attuale governo l'Italia ha conosciuto un balzo in avanti nel numero dei miliardari pro capita di ben 13 punti percentuali.  ("Meno male - direbbe Cipputi - almeno quello!").

Ma cosa vogliono dire questi discorsi?  Che, vista la disparità dei mezzi, bisogna forse rinunciare alla lotta?  Rassegnarsi davanti ai tradimenti di chi, nei comizi, sventola il fazzoletto rosso e poi dopo, a cena con i suoi sponsor, se ne serve per pulirsi la bocca?  Non votare più né far votare?  Adagiarsi in un qualunquismo brontolone di sinistra, ciò che sta avvenendo in questi giorni in Brasile e in parte anche in Spagna contro Zapatero (che ha ritirato le truppe dall’Iraq per mandarle ora in Afghanistan)?

Per niente. 
Anzi, il contrario. 
Esiste infatti una rabbia ben dosata e mirata che andrebbe sì coltivata per combattere la rassegnazione!  Che, non indebolendo la sinistra, non facilita il ritorno della destra, come invece è avvenuto in Italia e negli Stati Uniti quattro anni fa.  Si esprime, ad esempio, mettendo chi tradisce in difficoltà nel suo stesso partito.  Disertando i suoi comizi  e, nel contempo, sostenendo le iniziative dei suoi rivali di sinistra, in particolare quelli di partito.  Bersagliandolo di frecce ironiche -- ma, per ogni freccia, dando nel contempo un affondo alla destra.  Facendo scoppiare pubblicamente le sue contraddizioni in modo da portarlo, almeno ogni tanto, a cercare di salvare la faccia.  E, soprattutto, scegliendo bene i bersagli, evitando di fare di ogni erba una fascia, distinguendo tra tradimenti tattici (inevitabili) e quelli strategici, vere pugnalate da contrastare con ogni mezzo.  Cioè, distinguendo tra un Lula italiano che accontenta la finanza internazionale per avere una base economica da utilizzare per fini sociali e un Blair italiano che svuota il sindacato e taglia i sussidi di disoccupazione, minando la capacità di reazione dei lavoratori e quindi di tutta la sinistra.

Come si fa a passare dalla rabbia furibonda e controproducente alla rabbia mirata e costruttiva?  Togliendosi dalla testa che col voto possiamo sfrattare i ceti dominanti.  Che siamo già in democrazia.  Che basti votare liste - volute da altri - ogni cinque anni per cambiare le cose. 
Perché dietro la rabbia furibonda contro i tradimenti dei neo-eletti di sinistra, c'è spesso la delusione di un sogno infantile infranto, quello di poter cambiare il mondo con un semplice gesto, con una croce segnata su una scheda elettorale.

La caduta del muro di Berlino ha fatto almeno chiarezza su questo punto. Per decenni si era detto che a causa della guerra fredda e dell'importanza del suo partito comunista, l’Italia poteva godere soltanto di una "sovranità limitata". Potevano vincere le elezioni solo le varianti del pentapartito, mai il PCI sgradito dagli USA. Ora la guerra fredda non c’è più, i partiti comunisti sono l’ombra di quello che erano, eppure la "sovranità limitata" perdura. Ancora oggi al governo non può andare un uomo o un partito autenticamente di sinistra, non perché instaurerebbe una dittatura o consentirebbe l’invasione dei russi (queste scuse non tengono più), ma semplicemente perché -- oggi come allora -- i ceti dominanti non intendono cedere i loro privilegi economici.  Può andare al governo semmai solo la sinistra da loro ammaestrata.  E hanno i mezzi per finanziarla, darle accesso ai mezzi di comunicazione di massa, farla diventare elettoralmente "la" sinistra.

Certo, la storia va avanti, anche senza il benestare dei ceti dominanti.  Può anche vincere le elezioni un outsider di sinistra, rosso DOC e non annacquato, aprendoci così uno squarcio di cielo.  Ma per quanto tempo?  I ceti dominanti non stanno mica con le mani in mano. 
Cercano di eliminarlo fisicamente (Allende, Kennedy), sponsorizzano insurrezioni (Aristide, Ortega) oppure, se non basta, gettano la maschera e fanno vedere quanto ci tengono realmente alla democrazia promuovendo una dittatura che elimini fisicamente l'intera sinistra (in Indonesia, in Grecia, in Spagna, in Germania, nell'Italia di Mussolini e poi di nuovo mezzo secolo dopo, almeno come minaccia).  Ovviamente non sempre ci riescono, come testimoniano Chavez oggi, Castro da sempre e, nel bel paese, quel confinato che di recente, con grande tenacia, si è imposto elettoralmente a Bologna malgrado le congiure trasversali (tiè!).  Ma dal momento che i contendenti veramente di sinistra non hanno un'uguale accesso ai mezzi economici, le loro vittorie elettorali sono e saranno davvero striminzite.

Se, data l'eterna "sovranità limitata" del paese, non dobbiamo stare a sognare un candidato elettorale deus ex machina che ci risolva tutto, cosa possiamo fare di concreto, come società civile, per contribuire a sfrattare i ceti dominanti?  Per rendere utile il nostro voto a sinistra e non insensato un nostro impegno per far votare a sinistra?

Secondo Gramsci ci vuole quel lavoro lungo, duro, minuzioso - con e spesso malgrado i nostri eletti - che egli ha teorizzato come guerra di posizione, in opposizione alla guerra di movimento giudicata controproducente.

In questa prospettiva, dunque, il nostro contributo potrebbe essere quello di riunirci in associazioni e movimenti piccoli e multiformi, dove il controllo dal basso è più facile e il rischio di infiltrazioni e manipolazioni meno forte.  Gruppi che lavorano dal di fuori dei partiti ma al loro fianco, che li pungolano continuamente affinché si ricordino delle promesse fatte, che garantiscano loro un maggiore consenso, poi che usino quella leva per spingerli oltre i limiti posti dai loro santi in paradiso -- di più, che li facciano cercare nuovi referenti per creare un nuovo blocco sociale.  In breve, gruppi che fanno via via guadagnare posizioni, gramscianamente, nella costruzione di una democrazia economica reale.

(*) rete_dei_movimenti@boylan.it


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