10 gennaio 2005
 
La partecipazione

di Marina Minicuci
 
Intervento, incontro con P. Marrazzo alla Sala Umberto

 

 
 
La partecipazione cittadina e l’organizzazione comunitaria sono due facce della stessa medaglia: la prima si realizza attraverso la seconda.

Non possiamo pertanto parlare dell’una se prima non parliamo dell’altra.

La prima cosa che fa una comunità è condividere, almeno i servizi, la scuola, i problemi, gli spazi comuni.

Quando le persone non condividono, potrebbe dirsi che non esistono l’una per l’altra, sono colonne nel deserto. La convivenza, il vicinato, sono la base di qualsiasi coscienza pubblica e politica.

La comunità non esiste senza comunicazione, senza incontro e accordo fra gli operai che costruiscono la loro casa.

La solitudine e l’abbandono nel quale si trova lo spazio pubblico è la perfetta radiografia della nostra relazione con la casa (o la cosa) pubblica.

Nella nostra democrazia il cittadino dipende dai suoi rappresentanti per risolvere i problemi comunitari e per questo si è chiamata democrazia rappresentativa. Quando andiamo alle urne e scriviamo un nome sulla scheda stiamo consegnando a quella determinata persona il bene più importante che abbiamo e l’autorità e il potere affinché lo trasformi in un servizio per i cittadini e quando questa trasformazione non avviene significa, semplicemente, che siamo stati truffati. Avevamo solo la garanzia della sua parola, di quel messaggio che sottende o esplicita qualsiasi candidato: e cioè che lui rappresenta meglio di altri la sua gente, che sa come realizzare ciò che i suoi elettori chiedono. Niente di ciò avviene con frequenza.

Così la popolazione è spesso privata dei propri diritti ma anche dei propri doveri e questo conduce talvolta ad attitudini non responsabili da parte dei cittadini e a un atteggiamento ipocrita da parte di molti politici di professione che, a ridosso delle elezioni, denunciano quanti più guasti possono individuare per poi dimenticarli appena ottengono la nomina. Così facendo, la lontananza fra gli interessi della comunità e i suoi rappresentanti è diventata irreversibile e delegittima la funzione e il ruolo di questi ultimi.

Inoltre, con questo sistema, il cittadino non dispone di forme di organizzazione nelle quali la sua partecipazione non sia aderente a un’idea altra, chi rifiuta di abbracciare il dogma di altri rimane escluso da qualsiasi forma di partecipazione. Ed è un procedimento attraverso il quale l’uomo non solo perde la sua libertà ma anche la propria identità e il valore di se stesso come artefice e responsabile della propria esistenza.

Il modello della rappresentazione è credibile in teoria ma, di fatto, i risultati fin qui ottenuti sono stati una crescente esclusione e tergiversazione del rapporto con la base, alla quale, in verità, i governanti debbono tutto il loro potere e il loro stipendio.

E’ per questo che in alcune parti del mondo e anche in alcune città d’Italia si sta sperimentando, e talvolta attuando con eccellenti risultati, la democrazia partecipata. In una società basata sulla partecipazione diretta più che sulla rappresentanza, prospera la cooperazione più che la concorrenza.

Di fatto, i beni fondamentali della vita in società sono di natura cooperativa. In natura i primi esempi sono l’aria e l’acqua. In un terreno più sociale possiamo enumerare in primo luogo l’educazione, ciascuno desidera per sé la migliore preparazione, ma condividiamo anche la necessità di appartenere a un popolo educato, in caso contrario, qualsiasi cittadino vedrà ridotto il proprio livello di vita da costumi imprudenti e volgari. La cultura è una risorsa da un lato e una necessità dall’altro e il criterio più responsabile per diffonderla è la cooperazione.

Anche l’economia è stata distorta dalla magnificazione dell’ideale della concorrenza. Ci viene fatto un richiamo continuo alla concorrenza e dall’altro lato le grandi multinazionali evitano la vera concorrenza fra di loro.

Vediamo dunque come i più grandi oratori dell’efficienza, al momento di ottenerla non competono ma cooperano. La concorrenza è unidirezionale, vale a dire che organizza le proprie azioni a fine di lucro o di successo personale.

La cooperazione è invece obbligata alla multidirezionalità: se non conviene a tutti, nessun procedere è conveniente. Se davvero aspiriamo ad uno sviluppo sostenibile della vita e della società, non possiamo lasciarne la direzione in mano a agenti che concorrono fra di loro (i partiti politici e i capitalisti) ma dobbiamo assumerla come una missione che ci riguarda tutti. Tutti siamo interessati ad avere aria respirabile, acqua potabile, educazione e salute, tanto per cominciare.

Nella regione Lazio non esiste un’esperienza consolidata sulla partecipazione. Bisogna dunque fare riferimento ai grandi movimenti mondiali che hanno dato il via ai “social forum”, nei quali i grandi temi della pace si intrecciano alle pratiche di democrazia e partecipazione, a cominciare dai bilanci partecipati. Per affrontare questo problema nella nostra regione, occorre fare riferimento alle esperienze municipali e, per esempio, alla stessa Rete dei Municipi.

- Le assemblee cittadine come questa sono molto importanti perché avvengono attraverso una convocazione aperta a tutti i cittadini, ma è necessario che le decisioni che qui vengono prese e accettate siano poi vincolanti per chi ci governa. E’ necessario anche che si moltiplichino le organizzazioni dal basso, di qualsiasi genere: quelle professionali, di quartiere, culturali, osservatori , cooperative…

Molte organizzazioni non vedono di buon occhio le infiltrazioni di politici o partiti. E hanno ragione: l’esclusione non si combatte con l’inclusione in un partito ma spezzando questo sistema. E tuttavia non ci possiamo negare che laddove esistono democrazie partecipate i governi nazionali o locali non si sono solo limitati ad accettare le associazioni, i movimenti, le reti o qualsivoglia organizzazione pacifica, ma le hanno anche incentivate, promosse e sostenute.

Questo è un lavoro di costruzione che si fa tutti insieme e il manifesto della campagna elettorale di P. Marrazzo che recita “un modo diverso di stare insieme: partecipare” vogliamo sperare sia di buon auspicio.

- Proponiamo con legge regionale l’introduzione delle Primarie. Occorre dar voce agli elettori sin dal momento della scelta delle candidature non riservando questo compito ai soli partiti.

- L’istituzione dei consiglieri aggiunti degli immigrati, nell’attesa di soluzioni legislative che definiscano l’accesso degli immigrati al voto regionale.

- La creazione di osservatori permanenti partecipati sui bisogni e la domanda sociale. Iniziativa strategica per promuovere e sollecitare la capacità di proposta dei cittadini, esercitando una funzione di stimolo e di sviluppo del processo partecipativo e delle forme di solidarietà fra i cittadini che raccolgano, rielaborino e armonizzino l’informazione diffusa sul territorio su temi cruciali quali: lavoro, assistenza, costo della vita, ecc. Tali osservatori potrebbero essere gestiti direttamente da associazioni.

- Funzionamento trasparente e democratico degli enti strumentali e agenzie regionali.

La Regione opera attraverso una numerosa quantità di Enti Strumentali (oggi aziende) che vedono la partecipazione della Regione ,  dei comuni e delle province. Occorre una revisione di tale architettura gestionale sia semplificandola, sia intervenendo per introdurre processi di trasparenza e facilitazione all'accesso di singole competenze e strutture associative. Nello stesso tempo si tratta di individuare e definire modelli di partecipazione continuativa tali da fare di queste strutture forme attive del rapporto fra gestione istituzionale e cittadini organizzati o no.



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