Dunque Vendola non poteva vincere, eh?
di Marina Minicuci

Avvenimenti
15 aprile 2005

 

La mobilitazione della società civile per Nichi Vendola è stata straordinaria, grazie a tutti noi.  Fino all'ultimo giorno della campagna elettorale al comitato Vendola sono arrivate cartoline di solidarietà da tutte le parti d'Italia. Portavano la scritta "Io voto Vendola". Che vuol dire: “qui mi tocca votare quel che mi tocca, ma Vendola - pur non della mia regione - è la mia scelta”.

E' la scelta popolare, del cittadino che si sente padrone della proprie decisioni, che sa che il suo voto è libero e conta.

Perché il voto a Vendola è stato l'unico voto veramente libero fra tutti quelli dei vari presidenti di regione che, nel bene o nel male, sono scaturiti da scelte verticistiche. Reso possibile dal fatto che le oligarchie partitiche non hanno pensato per un solo momento che Vendola potesse avere la meglio sul candidato scelto della Fed.  E ricordiamo che quando Vendola vinse inaspettatamente le primarie, qualcuno si affrettò a dire che non si potevano più fare le primarie.

Perché? Ma era chiaro che Nichi Vendola non ce l'avrebbe mai fatta, perbacco!


Figurarsi: meridionale, comunista, omossessule, gli manca solo d'essere negro e ha radunato tutte le diversità invise!

Gli italiani popolo di conformisti, eh? La Puglia regno della destra, vero? I voti si prendono al centro e i moderati non vanno spaventati!

Tutto ampiamente falso, ma se anche fosse stato vero la volontà popolare non può essere subordinata a nessuna presunta vittoria, almeno in democrazia.

Bertinotti ha detto che il voto a Vendola assomiglia a quello a Lula e a Chavez perché, come per questi due capi di Stato, è stato voluto dalla popolazione e non dalle oligarchie.  Sembra un eccellente parallelo.  Anche il Presidente del Venezuela, come Vendola, ha potuto essere eletto perché il fenomeno Chavez era stato sottovalutato e quindi, all'inizio, non sufficientemente contrastato dai poteri forti (volti anzittutto alla propria autoconservazione).

Si direbbe che ormai la democrazia nasca solo da un errore, una svista, sia ciò un’eccezione all’interno di una regola non democratica. E sarebbe difatto così se non ci fossero quegli anticorpi che lavorano per scacciare la malattia dalla nostra società: i cittadini attivi.

Ricordare i nostri successi ci aiuta a continuare e intensificare la rete di partecipazione democratica.

15 febbraio 2003, cento milioni di persone sono scese in piazza, autorganizzandosi, in tutte le latitudine del globo, nonostante l'ostruzionismo degli establishment locali e le menzogne di tutti i grandi mezzi di informazione. L'Italia, in quell'occasione, sfoggia il più grande movimento della pace del mondo.

Ciò può accadere perché c'è stato, fra l’altro, il 14 settembre 2002 organizzato da sei persone di numero ("irresponsabili" disturbatori dei "responsabili" manovratori) che fanno da catalizzatore accelerando una reazione popolare diffusa che vuole ricondurre la democrazia a qualche principio fondamentale. E c’è sta una oceanica manifestazione del sindacato, dove tre milioni di persone incoronarono Cofferati leader, per poi perderlo subito nel trabocchetto ordito da D'Alema e Bertinotti, ma questa è un’altra storia.

E poi, sulla scia di questi grandi eventi nascono in Italia centinaia di associazioni, movimenti, piccoli e grandi gruppi organizzati; riprendono vigore quelli esistenti, si mette in moto una partecipazione che oggi, con la scintilla Vendola, si può, di deve riattizzare e irrobustire.

 
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