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Giù le barriere etniche
     

 

 

Una prima proposta di collaborazione -- sul tema della Scuola -- tra
la Rete dei Movimenti, il Comune di Roma e le realtà territoriali
per creare una società più coesa, basata su una autentica comprensione reciproca:


 Conosciamociuna giornata di scuola in un quartiere etnico 


 

 

 

 

 

     




Premessa


A settembre si riapriranno le scuole pubbliche e gli insegnanti, gli alunni e le famiglie toccheranno con la mano la devastazione arrecata dalla riforma Moratti: riduzione delle classi a tempo pieno (s'imparerà meno a scuola), riduzione degli organici (ci saranno classi più affollate), riduzione effettiva dei programmi per ogni lingua straniera (nonostante la pretesa di averne aumentato le ore), ritardo nell'approvazione delle graduatorie (molte classi inizieranno con supplenti), abolizione dell'obbligo scolastico (aumenterà l'abbandono degli studi dopo le medie)...


La Rete dei Movimenti intende protestare, dunque, nelle manifestazioni già programmate dai sindacati per l'autunno, contro questo svuotamento della funzione educativa e formativa della Scuola pubblica. Svuotamento che contrasta così fortemente con le dichiarazioni del Capo dello Stato e dei responsabili economico-finanziari secondo cui l'Italia può uscire dalla sua crisi attuale di competitività internazionale soltanto investendo di più nella formazione e nella ricerca, a tutti i livelli.


Ma la Rete dei Movimenti vuole essere anche propositiva.


Sa che il Comune di Roma, per quanto siano limitate le sue competenze in materia scolastica, si è già distinto per una serie di iniziative miranti a limitare l'abbandono scolastico, a facilitare l'accesso alla scuola agli alunni meno abbienti e, in particolare, a riqualificare l'offerta didattica attraverso iniziative come Intermundia e Intercultura, la Città come Scuola, e via discorrendo.


La Rete propone, dunque, di incontrarsi con i responsabili comunali per esaminare nuove forme d'intervento in favore della scuola. Si tratta di forme d'intervento che, per quanto non possano incidere direttamente sui gravi problemi accennati all'inizio, tutti di competenza del Ministero, possono comunque cercare di migliorare l'offerta didattica della Scuola Pubblica e, nel contempo, dare un segnale di solidarietà e di incoraggiamento agli insegnanti e agli operatori scolastici che combattono in prima fila.


Per dare concretezza all'incontro, la Rete dei movimenti allega una prima ipotesi d'intervento che mira a valorizzare le due iniziative consolidate appena citate, associandole: Intercultura e Città come scuola. Ma la discussione potrebbe anche estendersi ad altri progetti -- ad esempio quello di dare un sostegno a quei docenti che utilizzano una molteplicità di materiali anziché il cosiddetto testo adottato, attraverso l'uso dei buoni libro per dotare le biblioteche di classe di testi in comodato; oppure quello di valorizzare i soggiorni estivi attraverso forme di apprendimento immanenti.



La Rete dei Movimenti


Roma, 21.7.2004

 

 

 







 DESCRIZONE DEL PROGETTO 




Una prima proposta di collaborazione:


Conosciamoci - una giornata di scuola in un quartiere etnico



Nella seconda metà degli anni '70, sotto la prima guida di sinistra del Comune di Roma (Argan, poi Petroselli) l'allora Assessore per la Scuola Roberta Pinto lanciò con successo un'iniziativa che chiamò "La Città come Scuola". L'idea, allora inedita, consisteva nell'utilizzare l'infrastruttura municipale come estensione della scuola, cioè come laboratorio dove imparare dal vivo le materie insegnate nei libri. Alla Centrale del Latte si tennero lezioni interattive sulla composizione del latte; nelle biblioteche comunali si fecero esercizi di catalogazione dei libri e via discorrendo. Col tempo l'iniziativa si trasformò poi nella più tradizionale "gita scolastica" presso enti, musei e stabilimenti, in cui domina la semplice osservazione dei locali.


Recuperando il concetto di "lezioni sul posto" al centro della prima versione de La Città come Scuola, la presente proposta mira a sfruttare, ai fini educativi, la nuova risorsa preziosa del Comune di Roma -- diventata una realtà consistente solo in questi ultimi anni -- vale a dire, la multiculturalità.


L'attuale Dipartimento per le Politiche Scolastiche ed Educative si è già mostrato sensibile al tema, come testimonia l'iniziativa Intermundia. Ma mentre Intermundia mira a sostenere anzitutto il processo di adattamento dei figli dei migranti al loro nuovo contesto italiano, la presente proposta mira anzitutto ad insegnare l'interculturalità ai bambini italiani di origine, soprattutto quelli che non abitano quartieri multietnici e che non frequentano scuole con forti presenze di altre etnie.


Certo, anche le scuole di questi alunni hanno i materiali sull'interculturalità diffusi dal Dipartimento. Inoltre, gli alunni possono vedere, a casa o in aula, i numerosi programmi di Rai Educational sullo stesso tema. Ma la presente proposta vuole andare oltre, offrendo a tali alunni, in condizioni che diano tutte le garanzie del caso, un contatto vivo con la realtà che i sussidi interculturali descrivono. Cosa vuol dire essere cinesi o filippini o bengalesi a Roma? Cosa abbiamo davvero in comune e quali sono le differenze che, se valorizzate ed integrate con cura, possono arricchirci a vicenda?


Si stanno creando in alcune zone del comune di Roma, ad esempio intorno a Piazza Vittorio, quartieri fortemente connotati per la presenza di numerosi immigrati di una sola etnia che vi abitano e vi lavorano. Si profila, dunque, il rischio della graduale creazione di ghetti -- non nel senso materiale di concentramenti etnici per zona, fatto di per sé normale e anche funzionale, ma nel senso morale di zone che la popolazione italiana di origine, tende ad evitare con diffidenza. Una diffidenza che si ripercuote, poi, nei rapporti interpersonali a tutti i livelli.


Il forte concentramento in determinate zone della città di determinate popolazioni – dicevamo – non è di per sé cosa negativa. Da sempre, per esempio, le "popolazioni" di artigiani si concentrano geograficamente: i ristoratori in zone come Trastevere, gli stilisti di alta moda intorno a piazza di Spagna, i gestori di locali notturni in zone come Testaccio, ecc. Sono dislocazioni che risultano funzionali e fonte di valore aggiunto: non solo non "ghettizzano" nel senso etimologico di "isolamento" ma, anzi, servono da richiamo in quanto offrono più scelta per il servizio che interessa.


Ma il concentramento per etnia comporta il pericolo – già verificatosi in altri grandi metropoli – dell’elevarsi di insormontabili barriere psicologiche (non solo rionali) tra le diverse culture e con ciò diffidenze, antagonismi e un venir meno della convivenza civile.


Dal momento che le barriere sono frutto d'ignoranza, vanno rimosse coltivando le conoscenze. Donde la centralità della scuola, come istituzione primaria di apprendimento, di socializzazione e di formazione di una coscienza civile.


La Rete dei Movimenti propone dunque di intavolare una discussione con i Dipartimenti comunali per le politiche Scolastiche ed Educative e per le Politiche Sociali, nonché con le organizzazioni politiche e con le realtà territoriali, per studiare la fattibilità di rilanciare l'iniziativa La Città come Scuola, sotto la forma originaria di "lezioni sul posto", questa volta in chiave interculturale.

Non si tratta di organizzare gite "gastronomico-turistiche" in un quartiere etnico e ancor meno di sottoporre chi ci vive all'osservazione etologica. Il progetto cerca invece di abbattere il muro psicologico di diffidenza, prima ancora che diventi invalicabile, accogliendo a turno, nel quartiere etnico prescelto, scolaresche delle diverse zone di Roma (comprese quelle con basse concentrazioni di etnie diverse) per condurre, in locali presi in affitto per l'occasione, una mattinata normale di lezioni, incentrate però sul tema della molteplicità di vedute della realtà.


Dunque un'ora di storia dedicata per metà alla storia italiana di una certa epoca -- con enfasi sulla particolare visione dell'uomo e della società di quella epoca -- e per l'altra metà alla storia del periodo analogo, come viene insegnata nei libri scolastici della comunità che la scolaresca sta visitando. Lo stesso per la Geografia. Poi un'ora di lingua, in cui, per 30 minuti si studia l'italiano e per 30 minuti le caratteristiche della lingua parlata dalla comunità locale. In questa lezione l'accento non viene messo sulle forme grammaticali né dell'italiano né dell'altra lingua bensì sul carattere espressivo di testi orali e scritti che rendono il "genio" di entrambe le lingue. L'ora di religione, l'ora di musica e persino l'ora di applicazioni tecniche possono essere ugualmente divise in due alla stessa maniera.


Le lezioni verrebbero condotte dagli insegnanti abituali, dotati di opportuni sussidi per il proprio aggiornamento. Data la nuova collocazione dell'aula, poi, sarebbe del tutto normale che dal quartiere fossero invitati esponenti capaci di dare testimonianza diretta di ciò che hanno imparato a scuola, nei loro paesi di origine, sulla storia, sulla musica, sulle applicazioni tecniche. Col tempo si potrebbero prevedere, come già avviene nelle scuole miste dove opera Intercultura, giochi tipici organizzati dai bambini del quartiere o fiabe tradizionali raccontate dai loro genitori o dall'insegnante.


Scopo primario del progetto, dunque, è quello di consentire agli alunni italiani di origine di avvicinarsi alla realtà culturale degli abitanti del quartiere prescelto -- realtà culturale che consiste essenzialmente in una particolare visione del mondo e che difficilmente si può afferrare attraverso le descrizioni contenute nei manuali interculturali. Del resto, è una realtà che non si lascia facilmente afferrare nemmeno visitando il quartiere "da turista" -- cioè, incrociando gli abitanti per strada e scambiando due parole con un cameriere o con un commesso.


Il secondo scopo del progetto è quello di rinsaldare l'identità culturale degli alunni italiani di origine. E' infatti attraverso il contrasto che potranno meglio capire ciò che hanno di particolare, da valorizzare nelle interazioni con gli altri. Non si tratta di incoraggiare un nazionalismo cieco. Anzi, il migliore antidoto allo sciovinismo è proprio l'esercizio di osservare la propria cultura come una stella scintillante di eccezionale bellezza... in un firmamento di mille altre stelle, ognuna bella a suo modo.


Conclusione. La scuola per tradizione rappresenta un fattore di coesione sociale, custodisce e trasmette la cultura, mette in moto energie intellettuali; è motore di sviluppo e di accresciute capacità produttive, di capacità di convivenza e spirito di solidarietà.


L'iniziativa prospettata in queste pagine vuole migliorare la formazione favorendo lo sviluppo del senso di appartenenza ad una società a più strati -- strati non in opposizione ma che si complementano: è possibile essere italiani e anche americani (per preferenze musicali), italiani e anche cinesi (per filosofia di vita), italiani e anche bielorussi (per gusti letterari). Questa convivenza propositiva stimola la crescita dell'intelligenza creativa, del senso critico e dello spirito d'iniziativa necessari allo sviluppo economico in un mondo dove, a parità di sviluppo tecnologico, ciò che fa la differenza è l'originalità del pensiero, la capacità di intuizione e l'inventiva.


La Rete dei Movimenti


Roma, 21.7.2004






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